La crisi irachena si avvita tra
inverosimili califfati annunciati, bracci di ferro diplomatici e morti veri.
Gli integralisti islamici
dell’ISIS perdono lettere della sigla con la velocità con cui conquistano chilometri
di deserto. Sembrano divorati da una esigenza di immagine: mettere una bandiera
dove tra poco (lo sanno anche loro?) gli verrà abbrustolita da qualche
bomba-laser. E’ come fosse una specie di corsa, tra gli emuli di Bin Laden, a
chi per primo si fa Califfo. Non importa per quanto tempo. Capiteranno altre
occasioni. Del resto i soldi non mancano, almeno fino a quando l’Arabia Saudita
vedrà gli Iraniani e la loro influenza in Iraq, Libano e Siria, come un malato
di emorroidi il peperoncino.
Gli Stati Uniti sembrano disposti
ai soliti due schiaffi per fermare il neo-califfato (droni e bombardamenti più
o meno intelligenti) ma, ritardando la decisione, ricattano il premier Sciita Al
Maliki: “prima decidi di fare quello che
ti diciamo…” (del resto lui ha veramente esagerato con una politica
settaria e non è amatissimo neanche da una parte degli Sciiti). Soprattutto, gli
americani, prendono tempo per alzare il tiro con l’Iran, alleato di Maliki: “noi blocchiamo il casino; non
interrompiamo, per ora, la tua influenza a Baghdad. Ma, suvvia, rivediamo il
dossier nucleare!…”. E i Russi, alla ricerca spasmodica di occasioni per ricomporre
un po’ della vecchia grandeur sovietica, si infiltrano regalando Sukhoi alle
malmesse forze armate irachene.
Intanto, come si diceva, qualche
migliaio di iracheni, alla fine del giro di giostra, ci avrà lasciato le penne.
La loro maledizione è che sono incredibilmente
ricchi, tanto deboli (e con vicini
voraci) e di una stupidità politico-strategica disarmante. Tre comunità, tre
culture, in fin dei conti non così
lontane, siedono su un forziere di tesori che fa gola a mezzo mondo (era
previsto che l’Iraq, in dieci anni, divenisse il primo produttore mondiale di
petrolio..). Invece di gestirlo al meglio, concordando come tenerselo e
aumentarlo, hanno iniziato ad ascoltare i suggerimenti di “amici” interessati e
hanno preso a pestarsi i piedi… a quel
che sembra, anche molto “per conto terzi”.
La tentazione di trovare una via
d’uscita dalla crisi con una divisione in tre del Paese, che implicitamente i
curdi sembrano suggerire, è forte. Il problema è che il federalismo che
funziona è una forma di condivisione e unità non di separazione. In queste
condizioni, senza obbiettivi comuni, pezzi di identità ed interessi condivisi,
si andrebbe verso tre “Staterelli” belligeranti, ognuno, per di più, con
protettori in conflitto tra loro. Il federalismo è una buona soluzione, ma è un
percorso comune, o lo si fa dialogando o è meglio prepararsi ad una fase “post-jugoslava”.
Con l’aggravante che qui c’è anche un bel po’ di quella benzina necessaria a
noi occidentali per fare andare le nostre macchine e goderci il week-end.
Direttore Generale Sudgestaid SCARL |
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