Crisi internazionali, immigrazione, ruolo delle identità: questi sono
stati i temi al centro della riflessione organizzata da Link Campus University,
in collaborazione con SudgestAid, nell’ambito del I Interdisciplinary Forum on
Terrorism dell’11 settembre scorso.
L’iniziativa, che è stata
realizzata come parte delle attività dei Master “Intelligence and Security” e “Economia dello sviluppo e cooperazione
internazionale” svolti dall’Università, ha visto coinvolti molti dei Docenti del
progetto. Sono in ordine intervenuti Maurizio Zandri, Anna Maria Cossiga, Marco
Emanuele, Carlo Jean, Gianluca Ansalone, Maurizio Melani, Alessandro Merola, Marco
Mayer.
I vari conflitti che si stanno espandendo
in numerose regioni del globo stanno portando i loro effetti diretti nella nostra società anche attraverso
la drammaticità dei flussi migratori in atto. Come affrontare questo
cambiamento epocale che ci coinvolge tutti, è stato uno degli interrogativi
centrali della giornata.
Gli interventi hanno offerto analisi aggiornate sui vari scenari (Siria,
Libia, Iraq, Afghanistan, Ucraina, …) per poi convergere su una riflessione
comune e vivace sui temi delle “identità”etnico-religiose, dei nazionalismi,
delle variabilità di confini e forme di
“Stato”. Quest’ultima molto stimolata
dalla necessità di comprendere e combattere il fenomeno ISIS.
Diversi approcci e sensibilità dei relatori hanno permesso di leggere da
punti di vista complementari i conflitti in corso soprattutto nell’area
mediterranea e medio- orientale. Non si è discusso solamente delle cause “strategiche”,
o delle motivazioni delle leadership, ma
anche dei moventi più profondi che spingono il singolo individuo a partecipare
ad un conflitto. Le stesse motivazioni che hanno portato centinaia di giovani europei
e non ad unirsi alle file del Califfato, seguendo un percorso tragico e omicida.
Così si è finito anche per ragionare sulla ambiguità delle “identità”:
elemento di forza, riconoscimento di valori e “vocazioni”, ma anche di
“distinzione”, alterità, separazione tra comunità e humus di molteplici
esperienze conflittuali. L’identità, è stato detto, spesso diviene una ricerca
di se stessi e delle proprie radici che diventa tanto più frenetica ( e
pericolosa)quanto più ci si sente precari e minacciati.
L’ISIS in questo senso è certamente il sintomo di un malessere profondo.
Un fenomeno il cui principio può essere cercato tanto negli “umori e
frustrazioni” del fondamentalismo sunnita, quanto nelle ciniche e poco lungimiranti
politiche delle potenze regionali e globali, che hanno pensato di servirsene in
funzione anti-iraniana.
Guardare solo a queste ultime, però, non può fornirci una visione
completa del problema. Occorre osservare attraverso diverse categorie. Il mondo
che avevamo davanti dopo la caduta del muro di Berlino, sta nuovamente
cambiando conformazione. Si assiste alla rinascita dei confini, dopo un periodo
in cui la geografia sembrava divenire liquida. Ritornano fattori passati,
diversi in intensità ed ordine. I totalitarismi, i nemici del secolo scorso,
guadagnano nuovi tratti nelle formazioni dello Stato Islamico. Un pericolo onnipresente.
Un riflessione ulteriore, molto connessa alle precedenti, ha riguardato
anche gli errori di gestione nelle ultime crisi da parte dei Paesi Europei ed
“occidentali”. L’esperienza dell’intervento in Libia è ormai communente considerata
fallimentare. Più che altro mancante di lungimiranza nel prevederne e
controllarne gli effetti successivi.
Questo fallimento in particolare evidenzia anche le responsabilità
italiane. Per prima cosa nella mancata definizione degli interessi nazionali
attuali, i paletti necessari per sviluppare una strategia di lungo termine.
Ciò è avvenuto anche nel contesto atlantico, come hanno sottolineato
molti degli interventi, in cui oltre alla strategia è venuta meno una reale
visione d’insieme e di partnership.
Le considerazioni finali non potevano non riportare al centro i comportamenti e le paure degli
europei di fronte all’ondata di rifugiati in fuga dai teatri di guerra.
È in pericolo la nostra identità? Va rafforzata in differenziazione
davanti la marea di migranti in cerca di asilo? Ne va auspicata l’integrazione
o se ne rende necessario respingerli?
Probabilmente come è stato sottolineato in diversi interventi, l’invito
da fare è di non avere paura della contaminazione. Un processo controllato
di apertura dei confini e personale per accettare un cambiamento in atto. Un
progresso che può esser positivo, ma che racchiude anche il pericolo di un
conflitto interno alla “cittadinanza” europea, se non accettato e gestito adeguatamente.
Nessun commento:
Posta un commento