venerdì 24 aprile 2015

Rifugiati, accoglienza e sviluppo: una modesta proposta, guardando a domani…

Gli inarrestabili flussi di migranti in arrivo dalle aree in conflitto e da quelle più povere del Pianeta non pongono più il problema sulla opportunità dell’accoglienza, ma quello di come organizzarla. Per i “disperati sui barconi” la speranza di poter migliorare le proprie condizioni di vita è più forte del rischio di morire, che pure sanno di correre quando si mettono in viaggio. Questa determinazione rende impensabile qualsiasi blocco a breve dei flussi in atto e ci interroga sulle misure da assumere, non solo per il salvataggio di vite da naufragi e assassinii, ma per la permanenza e integrazione di molti degli aventi diritto ad asilo.
Il Sistema di Protezione per i Richiedenti Asilo e i Rifugiati (SPRAR) organizzato dall’ Italia, prevede l’ adesione volontaria degli Enti locali per organizzare, con l’aiuto del terzo settore, forme di accoglienza e integrazione. Esso rappresenta, pertanto, una rete potenziale estesissima sul territorio, ma la cui espansione ed efficacia  è limitata dalla scarsità di risorse e, spesso, da paure e opposizioni delle comunità dei residenti.
Sarebbe errato, però, non solo eticamente ma anche economicamente e politicamente, considerare questo impegno sotto l’aspetto del mero “costo”. Siamo anche di fronte ad una “ricchezza” che non è stata ancora adeguatamente sondata, ma assai probabilmente di grande portata dal punto di vista delle capacità di lavoro, del livello di istruzione e professionalità, dell’età, dell’apporto culturale e umano che accompagna la stragrande maggioranza dei richiedenti asilo.
Si tratta, allora, di impostare programmi che siano in grado di valorizzare l’apporto dei rifugiati allo sviluppo complessivo del territorio che li accoglie. I rifugiati come valore aggiunto anche per l’attrazione di fondi comunitari. Come coprotagonisti di iniziative che facciano crescere l’intera comunità.
Un grande Progetto Europeo di Sviluppo
In questa ottica, il periodo di passaggio nei Centri di Accoglienza, non deve essere solo una fase burocratica d’attesa al riconoscimento della condizione di “rifugiato”, “titolare di protezione sussidiaria” o “titolare di protezione umanitaria”, ma anche una sorta di incubatore di potenzialità future di integrazione legate al territorio.
Così facendo, anche il numero dei Centri e la quantità di adesioni volontarie degli Enti locali allo SPRAR potrebbe crescere, alla ricerca di una opportunità di sviluppo legata alla possibilità di attrarre fondi che progetti integrati rivolti al territorio potrebbero determinare. In questo modo comunità locali e rifugiati diverrebbero concretamente alleati.
Cosa si potrebbe fare:
Alcune Regioni potrebbero promuovere nell’ambito della loro programmazione (POR e altro), un Programma di Integrazione e Sviluppo (PIS…che, letto, ha lo stesso suono di “peace”), capace di accogliere sinergicamente al suo interno una serie di misure legate a diversi assi o settori, ma tutti finalizzati alla promozione di progetti di sviluppo che prevedano l’integrazione delle capacità dei rifugiati con quella della comunità locale, nello sforzo di raggiungimento di un risultato concreto, tangibile, utile, “misurabile”.
Ai fondi connessi a tali misure potrebbero aggiungersi interventi dei PON (non solo “sicurezza”, ma anche, ad esempio, “agricoltura”, “ambiente”, beni culturali” etc.)
I progetti di un programma di tali caratteristiche non riguarderebbero tanto l’adeguamento, funzionalizzazione dei Centri di accoglienza, pur importante, ma aspetti quali, a solo titolo di esempio generico:
o la messa in sicurezza o la protezione di aree naturali sensibili o a rischio; la protezione di aree culturali e monumentali;
o la manutenzione di porzioni di territorio, di versanti e aree boschive
o la valorizzazione, lavorazione e commercializzazione di prodotti agricoli
o il recupero di manufatti, borghi, abitazioni che possano far rivivere le comunità tradizionali con quelle di nuovo arrivo o rifunzionalizzarsi per nuove destinazioni: di attrazione turistica; produttive; di servizio;
o la nascita di piccole produzioni manifatturiere e/o artigianali, valorizzando la cultura dei nuovi arrivati,  sposandola a quella locale: dalla produzione di oggetti d’abbigliamento unendo diversi materiali e sensibilità a iniziative di riciclaggio di scarti (plastica, vetro, carta…) per nuovi oggetti;
o etc.
Nell’ambito del Programma andrebbero ovviamente previste le necessarie azioni formative, di addestramento e aggiornamento professionale, già a partire dalla fase di soggiorno all’interno dei Centri.
Un programma con tali “misure” avrebbe un effetto di particolare rilievo anche sui livelli occupazionali delle Regioni proponenti e attraverso i risultati che riuscisse a raggiungere, ridurrebbe, nei fatti, gli spazi di “paura” e rifiuto che contribuiscono ad impedire di tramutare l’azione d’emergenza in azione di respiro strategico.
Va sottolineato con forza che un coinvolgimento di tali proporzioni dei “rifugiati” avrebbe significativi impatti positivi anche nelle relazioni con le aree estere di provenienza, dove il ritorno dei rifugiati, alla conclusione delle crisi, potrebbe essere favorito proprio dall’esperienza professionale vissuta, contribuendo a consolidare relazioni, reti, commerci con l’Italia.
Infine, vale la pena di “suggerire” che la stessa Unione Europea potrebbe (dovrebbe?), nell’ambito dei “ripensamenti” in corso, promuovere un nuovo Programma ad hoc, con  relativi, cospicui, finanziamenti ad esso dedicati.



Maurizio Zandri Direttore Sudgestaid