martedì 1 luglio 2014

Iraq: tra improbabili califfati e difficile federalismo


La crisi irachena si avvita tra inverosimili califfati annunciati, bracci di ferro diplomatici  e morti veri.
Gli integralisti islamici dell’ISIS perdono lettere della sigla con la velocità con cui conquistano chilometri di deserto. Sembrano divorati da una esigenza di immagine: mettere una bandiera dove tra poco (lo sanno anche loro?) gli verrà abbrustolita da qualche bomba-laser. E’ come fosse una specie di corsa, tra gli emuli di Bin Laden, a chi per primo si fa Califfo. Non importa per quanto tempo. Capiteranno altre occasioni. Del resto i soldi non mancano, almeno fino a quando l’Arabia Saudita vedrà gli Iraniani e la loro influenza in Iraq, Libano e Siria, come un malato di emorroidi il peperoncino.
Gli Stati Uniti sembrano disposti ai soliti due schiaffi per fermare il neo-califfato (droni e bombardamenti più o meno intelligenti) ma, ritardando la decisione, ricattano il premier Sciita Al Maliki: “prima decidi di fare quello che ti diciamo…” (del resto lui ha veramente esagerato con una politica settaria e non è amatissimo neanche da una parte degli Sciiti). Soprattutto, gli americani, prendono tempo per alzare il tiro con  l’Iran, alleato di Maliki: “noi blocchiamo il casino; non interrompiamo, per ora, la tua influenza a Baghdad. Ma, suvvia, rivediamo il dossier nucleare!…”. E i Russi, alla ricerca spasmodica di occasioni per ricomporre un po’ della vecchia grandeur sovietica, si infiltrano regalando Sukhoi alle malmesse forze armate irachene.
Intanto, come si diceva, qualche migliaio di iracheni, alla fine del giro di giostra, ci avrà lasciato le penne.
La loro maledizione è che sono incredibilmente ricchi,  tanto deboli (e con vicini voraci) e di una stupidità politico-strategica disarmante. Tre comunità, tre culture,  in fin dei conti non così lontane, siedono su un forziere di tesori che fa gola a mezzo mondo (era previsto che l’Iraq, in dieci anni, divenisse il primo produttore mondiale di petrolio..). Invece di gestirlo al meglio, concordando come tenerselo e aumentarlo, hanno iniziato ad ascoltare i suggerimenti di “amici” interessati e hanno preso a  pestarsi i piedi… a quel che sembra, anche molto “per conto terzi”.

La tentazione di trovare una via d’uscita dalla crisi con una divisione in tre del Paese, che implicitamente i curdi sembrano suggerire, è forte. Il problema è che il federalismo che funziona è una forma di condivisione e unità non di separazione. In queste condizioni, senza obbiettivi comuni, pezzi di identità ed interessi condivisi, si andrebbe verso tre “Staterelli” belligeranti, ognuno, per di più, con protettori in conflitto tra loro. Il federalismo è una buona soluzione, ma è un percorso comune, o lo si fa dialogando o è meglio prepararsi ad una fase “post-jugoslava”. Con l’aggravante che qui c’è anche un bel po’ di quella benzina necessaria a noi occidentali per fare andare le nostre macchine e goderci il week-end.
Direttore Generale Sudgestaid SCARL

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